Cosa ho imparato a Iringa…
Chi è il volontario che parte in missione per l’Africa?
È luogo comune pensare che sia una persona pronta a offrire tempo, competenze e risorse per aiutare chi è povero, chi soffre, chi di risorse non ne ha.
Di certo, in questo luogo comune, qualcosa di vero c’è: la realtà africana che ho visitato lo scorso agosto con l’Africa Chiama ne è una prova. Ad Iringa, in Tanzania, ci si imbatte in contesti poveri, sofferenti; in contesti che – ai nostri occhi occidentali – necessitano di supporto e cambiamento.
Non ho però parlato di “luogo comune” casualmente: secondo la mia esperienza, a una partenza fatta
di zaini carichi di volontà di aiutare e insegnare, è coinciso un ritorno con uno zaino pieno di insegnamenti ricevuti e opinioni trasformate…
COSA HO IMPARATO A IRINGA …
1. Creare con ciò che si ha attorno.
Lo school feeding Program è un progetto attraverso cui L’Africa Chiama sostiene e gestisce le mense di sei scuole pubbliche di Iringa. Ho avuto modo di visitare le scuole; di affiancare le cuoche nella preparazione del kande, una zuppa di fagioli, mais e verdure che viene distribuita ai bambini per pranzo …
Ho imparato che una sciarpa può diventare un fazzoletto per coprire i capelli;
ho imparato che i pezzi di sacchi di plastica che contengono fagioli e mais possono diventare delle spugne per lavare;
ho imparato che gli stessi pezzi, imbottiti e incollati in certosina maniera, possono diventare un pallone per giocare a calcio;
ho imparato che dei tappi di bottiglia possono diventare – se bucati al centro e penetrati da un filo – una bella collana colorata.
Saper vedere le molteplici potenzialità di semplici materiali; saper creare con gli stessi materiali oggetti utili, o ornamentali, o artistici. Un’energia creativa che forse noi – circondati da oggetti per ogni bisogno ma non sempre utilizzati – non conosciamo così bene.
2. Mangiare: un rito.
In cucina mangiavamo con le cuoche, a volte il kande, a volte piatti che loro preparavano con piacere per tutto lo staff.
Il momento del pasto non è la pausa pranzo di mezz’ora che si fa davanti all’ufficio, né è una cena davanti alla TV. Il pasto è un momento che va condiviso a 360 gradi, è un rito. Ci si siede a terra in cerchio, si riempie lo spazio centrale con un ampio piatto di plastica colorata già pieno di cibo: spesso ugali, una polenta bianca, con fagioli e verdure.
Si ringrazia, e poi si mangia tutti insieme dallo stesso piatto. I bambini mangiano dopo, spesso quando vengono serviti fanno un inchino, al kande e a chi glielo porge.
Il cibo, mangiare, hanno un valore sacro: non condividerlo è un gesto maleducato, lo spreco non si conosce.
3. Comunità: fondamento ed energia della società.
Per le vie di Iringa si può fare di tutto: mangiare, comprare stoffe, conoscere persone.
Camminando, si riesce a capire il profondo valore della strada: la strada è uno dei centri in cui si manifesta la vita comunitaria della città. Per strada si lavora, si commercia, si danno passaggi alle persone; per strada si mangia qualcosa insieme; per strada ci si incontra, ci si scambiano notizie, si prendono impegni.
Non ci si può sentire soli, per le vie di Iringa; se qualcuno dovesse presagirlo, un senso di solitudine, basta imboccare una strada.
Con il progetto delle home visits, attraverso cui si vanno a visitare mamme con figli disabili in casa, ho avuto modo di girare per i villaggi. C’è uno spazio, tra le case, che ogni giorno prende vita. È lo spazio in cui i bambini giocano, si scambiano vestiti, salutano chi passa.
Un occhio superficiale potrebbe pensarli soli e abbandonati. Invece, dovesse succedere qualcosa, c’è sempre uno sguardo vigile a proteggerli: quello della comunità.
Queste righe non vogliono nascondere l’intenzione di esaltare un luogo e una cultura e screditarne altri. Semplicemente, ho cercato di immortalare immagini di uno sguardo trasformato – il mio – su una vivace città montana della Tanzania: grazie Iringa!Eleonora Sbarbati, volontaria ad Iringa in Tanzania (agosto 2024)
https://www.youtube.com/watch?v=G-pP94Fx9jU&list=PLD90375963AB1ACF8