Sette nuovi ragazzi sono partiti per la loro esperienza di servizio civile in Kenya, Tanzania e Zambia: qui saranno per un anno un tassello fondamentale della grande macchina che è L’Africa Chiama.
Per questo, abbiamo chiesto a ognuno di loro di raccontare la propria storia.
Immaginate una bambina di 9 anni che si fa regalare Il diario di Anna Frank
perché, scoprendo la Shoah, ne resta profondamente scossa.
Immaginatela scrivere una lettera alla sorella di Giovanni Falcone, in occasione della festa della legalità organizzata alle elementari, per chiedere come sconfiggere la mafia. Immaginatela poi osservare le pareti di casa riverniciate da un ragazzo rumeno che dorme e mangia con la sua famiglia perché non sa dove stare, ma ama dipingere. Immaginate che dopo si ritrovi Zak, un ragazzone marocchino di 203 cm, sdraiato sul suo divano: anche lui, per il momento, non ha un posto dove stare ma sa giocare a basket. Il padre di quella bambina lo porta con lui, ha una squadra di pallacanestro, l’unica attiva nel paese, lo conoscono tutti, perchè crea la comunità intorno allo sport.
Come può crescere quella bambina se non acquisendo inconsciamente i valori della condivisione, gentilezza, giustizia, empatia?
Lei poi inizia a viaggiare, ama uscire dalla zona di comfort, conoscere la ricchezza della diversità , partecipare alla vita degli altri e riflette sul fatto che c’è chi non ha le sue stesse risorse per vivere. Non è giusto, pensava.
Come può non sentire il bisogno di concretizzare quei valori, di sentirsi partecipe di un cambiamento? Non l’ha fatto, pensava lei, ma è cresciuta, ha preso la laurea triennale in infermieristica, credendo di rispondere solo al bisogno di essere indipendente economicamente, ma capirà dopo che scegliere quella professione rappresentava anche esercitare parte di quei valori interiorizzati, di cui non era ancora consapevole.
Ama la natura. Dopo la laurea, mentre già lavorava, ha fatto un viaggio in Islanda dove ha visto paesaggi e climi cambiare spesso: valli montuose, vulcani, terre glaciali, distese di praterie mosse da vento impetuoso, mentre l’aurora boreale danzava maestosa e il terreno sputava gas violentemente. E tanto rapidamente mutava il paesaggio percorrendo quella ring road, tanto rapidamente si sentiva crescere dentro un’idea.
Sentiva che quell’impeto voleva viverlo dentro, rompendo le sue abitudini, mettendosi in discussione, contribuendo ad una causa più grande e dando forma precisa a quei valori cresciuti silenziosamente dentro di lei ed esercitati inconsciamente nel quotidiano. Così ha scelto il servizio civile: impattante è la parola che ha usato per motivare la sua scelta. Vuole un’esperienza che abbia un impatto su di lei, e spera di poter avere anche lei un impatto, come cittadina attiva, entrando in punta di piedi in una nuova comunità che risponde ad altri bisogni.
Vuole dare un volto a quei valori, un nome attraverso un progetto.
Quella bambina di 9 anni ora ne ha 27, si chiama Ivana, indossa un Casco Bianco e sta per partire in Zambia con l’Africa Chiama, in un progetto per l’inclusione delle persone con disabilità in ambito educativo, sociale, riabilitativo. Sa di avere uno zaino colmo di emozioni e scarso di aspettative – non è mai stata brava a crearsele per non sottostimare o sovrastimare le cose – ma sa che a quei valori risponde. E inizia a farlo con una parola: Shalom
Ivana
Ivana non è partita da sola per il suo servizio civile in Zambia: leggi anche i racconti di Costanza e Claudio!