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COSTRUIRE PONTI, ABBATTERE BARRIERE: IL RACCONTO DI LASSINA

Articolo di Alessandra Furlani, volontaria in Servizio Civile Universale a Fano

Sono approdata a L’Africa Chiama come volontaria del Servizio Civile da qualche mese ormai, e ogni giorno è una scoperta. I motivi per cui consiglierei questa esperienza sono tanti, ma il più importante per me è uno: aprire gli occhi su mondi nuovi.

Durante questo percorso, ho incontrato tante persone straordinarie, ma una in particolare ha lasciato un segno profondo: Lassina, un ragazzo originario del Mali, arrivato in Italia tredici anni fa.

L’ho conosciuto durante la Settimana Africana Regionale, manifestazione che l’associazione organizza ogni anno per accendere i riflettori sull’Africa, per parlare di cultura, politica, cucina e tanto altro.

Oggi Lassina lavora nel campo del terzo settore, come educatore, interprete e mediatore culturale, impegnato a promuovere l’integrazione e i diritti delle persone migranti.

Mi ha colpito la passione con cui parla della sua esperienza, così gli ho proposto un’intervista. È da lì che nasce questo articolo.

Lassina comincia parlandomi delle sue radici. Porta un nome musulmano, ma specifica che le origini religiose del Mali sono prevalentemente animiste.

Lui stesso ha origini animiste, infatti suo nonno paterno – racconta – era un donzo, cioè un cacciatore tradizionale dalle profonde conoscenze della natura e delle sue proprietà benefiche, in seguito assunto dal governo locale, situazione che gli permetteva di poter continuare a seguire la sua fede animista.

Sempre più incuriosita gli chiedo come mai, dal Mali, è arrivato fin qui. Emozionato, mi racconta che nel 2010 aveva appena concluso le scuole medie e voleva proseguire gli studi, ma la situazione non era più sicura per lui e grazie ad un cugino che viveva in Libia ha deciso di scappare dal Mali.

Quando ha lasciato il suo paese, pensava a tutto tranne che ad arrivare in Europa, ma la situazione è degenerata presto e lo scoppio della Primavera araba ha intensificato la crisi dell’area, costringendolo a scappare anche dalla Libia.

“Il giorno in cui sono partito” – mi racconta con voce spezzata – “ci sono stati 70 bombardamenti. L’esercito di Gheddafi spediva i migranti, come fossero pacchi’. I soldati sparavano in aria per festeggiare. Nel mio barcone eravamo 333 persone.”

“Quando sono arrivato, ho scoperto di essere un MSNA (Minore Straniero Non Accompagnato). Nel mio Paese mi consideravo già un adulto, anche se avevo solo 17 anni. Una volta in Italia ho capito che a quell’età hai ancora diritto ad essere tutelato, come tutti i minori del mondo dovrebbero essere. All’epoca, però, non esistevano comunità strutturate per MSNA, così sono stato inserito in una comunità educativa per minori in stato di vulnerabilità.”

Lassina racconta che, insieme ad altri due ragazzi migranti, si è ritrovato a quel punto in una struttura non attrezzata per accogliere minori stranieri.

Era ancora un ragazzino, solo, lontano da casa, immerso in una realtà completamente diversa da quella vissuta in Mali.

Si sentiva spaesato, come un pesce fuor d’acqua, in un ambiente con regole ai suoi occhi rigide e spesso incomprensibili. L’inizio è stato difficile: si sentiva smarrito, trattato ingiustamente, anche per la difficoltà di comprendere le dinamiche del sistema in cui si è trovato inserito (racconta ad esempio che gli è stata negata -senza spiegazioni- la possibilità di parlare con sua madre, senza che vi fosse la presenza di un traduttore a seguire la conversazione).

Lassina mi racconta che, a distanza di anni, non ritiene sia stata totalmente un’esperienza negativa. La sua educatrice, ad esempio, la ricorda come una persona buona, sensibile, che si era presa a cuore la sua storia e con cui ha costruito un legame di fiducia.

In quel periodo ha avuto la possibilità di frequentare corsi di italiano per apprendere la lingua, giocare a calcio e iniziare a comprendere il funzionamento di un paese che inizialmente gli era sembrato ostile.

La sua storia in Italia prosegue con l’arrivo a Pesaro, nel 2012. Lassina mi confida che anche quel momento non è stato facile: si è ritrovato circondato da richiedenti asilo in una fase diversa del percorso di accoglienza, e si è sentito di nuovo solo, in un ambiente che non lo faceva sentire accolto. Il suo unico pensiero era ottenere il permesso di soggiorno e andarsene, magari in Francia, o dovunque potesse sentirsi finalmente a casa.
È stata una telefonata della sua ex educatrice a cambiare le cose: lo ha incoraggiato a uscire, esplorare la città e scoprire le opportunità che questa poteva offrirgli. È stato così che ha iniziato a informarsi, a conoscere persone e, infine, a iscriversi alla scuola media, dove ha conseguito il diploma italiano nel giugno 2013.


Da quel momento, ha deciso di rimboccarsi le maniche e costruirsi un futuro. Si è iscritto ad una scuola edile ed ha ottenuto una qualifica professionale come muratore. Mentre frequentava la scuola, gli è stata proposta una prima opportunità di lavoro come mediatore culturale nelle strutture d’accoglienza locali. Proposta che inizialmente Lassina ha rifiutato, perché preferiva portare a termine il percorso di qualifica professionale.

Quando qualche mese dopo Lassina ricevette una seconda proposta, accettò, e da lì, qualcosa cominciò davvero a cambiare! Durante la sua prima esperienza lavorativa nell’accoglienza, a Pelingo, Lassina ha conosciuto Italo Nannini, fondatore de L’Africa Chiama, invitato in struttura per presentare l’associazione e promuovere il volontariato tra i ragazzi ospitati.
Da quell’incontro è nato un legame che ancora oggi unisce Lassina all’associazione: un rapporto basato su fiducia, impegno e collaborazione.

“La conoscenza di Italo e Teresa – racconta – mi ha ridato fiducia nelle persone e nel Paese in cui mi trovavo. Sono stati per me una bussola: una bussola non è un salvagente… ma se la segui, prima o poi arrivi a destinazione. E la vita, in qualche modo, te la salva comunque”.


Da lì, il suo percorso si è fatto sempre più chiaro.
Dal 2014 al 2019 ha lavorato nei CAS della zona, passando poi ai centri per MSNA. Ha continuato a collaborare con vari enti del territorio, con il Comune e con i tribunali, come interprete e mediatore culturale.

Nel frattempo ha deciso di riprendere gli studi, unendo al percorso anche la sua passione per la cucina. Nel 2022 ha conseguito il diploma all’Istituto alberghiero, ed è proprio durante un corso di cucina che ho avuto l’occasione di conoscerlo.

Nel 2023 ha ottenuto la cittadinanza italiana, un traguardo che suggella un lungo cammino.

Così gli chiedo se è appagato di com’è la sua vita oggi. Mi risponde che “nell’Islam si dice che la persona più amata da Dio è colui che è utile agli altri. Oggi mi sento un punto di riferimento per i tanti migranti che si trovano nella stessa condizione in cui mi trovavo io qualche anno fa. Facendo questo, cerco di dare il mio contributo, per dare un messaggio che vada oltre i pregiudizi e gli stereotipi“


E allora la domanda conclusiva mi sorge spontanea: cosa possiamo fare noi per fare la nostra parte e abbattere il pregiudizio che non permette a tutti e tutte di godere di eguali diritti?


Concludo con le sue parole: “Alla luce del mio percorso, oggi mi sento di avere fiducia nell’umanità, in particolare nelle giovani generazioni di questo Paese, col contributo di tutti e tutte ce la possiamo fare. Ma non dobbiamo farci prendere dallo sconforto o dall’arrendevolezza, altrimenti non c’è più via d’uscita per nessuno. Sta a noi prendere una posizione.

Sta a noi avere una voce e scegliere di farla sentire. Dobbiamo costruire dei luoghi di dialogo e conoscenza reciproca e trovare persone aperte e disposte ad abbattere le barriere ed aprirsi alla conoscenza: solo così si potrà parlare di diritti e inclusione”.