Volontariato in Africa. Ci sono molte aspettative e molte immagini che vengono evocate dall’accostamento di queste tre parole. Ne hai tu, e ne hanno le persone che ti stanno attorno e a cui dici “Voglio andare a fare un viaggio di volontariato in Africa”; c’è chi ti guarda strano, chi ti dice “brava”, chi ti dice “ma non è pericoloso?”, chi ti chiede “perché?” e altro ancora.
La mia partenza per questa esperienza di tre settimane è stata covata a lungo, era un pensiero che mi accompagnava da anni e a cui sono riuscita a dare ascolto in maniera attiva solo questo Agosto 2014. Non sapevo esattamente perché volevo partire e non sapevo qual’era la voce che mi chiamava verso l’Africa.
Sono partita forse per curiosità e forse bisogno di essere immersa in un contesto culturale diverso per poter guardare con occhi nuovi il mio, sono partita con le aspettative più o meno comuni di chi si approccia a un esperienza del genere, sono partita non sapendo che quello che dell’Africa ti travolge è quello che non ti aspetti. Non mi aspettavo la gioia. Una gioia che nel nostro continente non vedi e probabilmente non vedremo mai, una gioia che è difficile da spiegare se non la guardi negli occhi. Non mi aspettavo i sorrisi.
Non mi aspettavo di passare un pomeriggio ad insegnare a giocare a pallavolo a dei ragazzi di 15-17 anni e ancora meno mi aspettavo il loro interesse autentico nell’ascoltare le poche cose che potevo insegnargli.
Non mi aspettavo che il più grande fan e utilizzatore della mia macchina fotografica fosse Boyde ragazzino di quattordici anni di un intelligenza disarmante che ha provato ad insegnarmi come si usano le sue tavolette per scrivere… in braille.
Non mi aspettavo di sentirmi dire da un ragazzino nato e cresciuto nel compound “ da grande voglio diventare il capo della foto di Sarah Bastianello volontaria in Zambiapolizia, anche se non mi piace la violenza, perché credo che per farsi rispettare l’unico modo sia portare rispetto”.
Non mi aspettavo di non sentire bambini piangere. Nonostante siano per strada da quando camminano, nonostante camminino scalzi per strade improbabili, nonostante in buona parte dei casi saltino i pasti, nonostante i giocattoli li costruiscano dalla spazzatura (con una creatività e capacità ingegneristica da non sottovalutare), in tre settimane non ho sentito bambini piangere. Li ho visti sorridere, ridere, correre, giocare come qualsiasi altro bambino nel mondo, ma piangere mai.
Non mi aspettavo le mille facce dell’Africa che puoi vivere e vedere nell’arco di pochi chilometri. Non mi aspettavo di sentirmi a casa.
Oggi a distanza di un quasi un mese dal mio ritorno dallo Zambia mi ritrovo a guardare le foto ogni giorno, pensando a quanto questa esperienza mi abbia aiutato a ridare forma alle mie priorità e al modo in cui spesso per abitudine o routine, sono abituata a percepire la realtà che vivo qui in Italia.
Descrivere questa esperienza nei dettagli è difficile e penso mi ci vorrebbero molte pagine e ancora credo non riuscirei a trasmettere quello che ho vissuto.
Sarah Bastianello – volontaria a Lusaka, Agosto 2014
CLICCA QUI, per leggere le altre testimonianze dei volontari!
I video dei nostri volontari:
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La mia partenza per questa esperienza di tre settimane è stata covata a lungo, era un pensiero che mi accompagnava da anni e a cui sono riuscita a dare ascolto in maniera attiva solo questo Agosto 2014. Non sapevo esattamente perché volevo partire e non sapevo qual’era la voce che mi chiamava verso l’Africa.
Sono partita forse per curiosità e forse bisogno di essere immersa in un contesto culturale diverso per poter guardare con occhi nuovi il mio, sono partita con le aspettative più o meno comuni di chi si approccia a un esperienza del genere, sono partita non sapendo che quello che dell’Africa ti travolge è quello che non ti aspetti.
Non mi aspettavo la gioia. Una gioia che nel nostro continente non vedi e probabilmente non vedremo mai, una gioia che è difficile da spiegare se non la guardi negli occhi.
Non mi aspettavo i sorrisi.
Non mi aspettavo di passare un pomeriggio ad insegnare a giocare a pallavolo a dei ragazzi di 15-17 anni e ancora meno mi aspettavo il loro interesse autentico nell’ascoltare le poche cose che potevo insegnargli.
Non mi aspettavo che il più grande fan e utilizzatore della mia macchina fotografica fosse Boyde ragazzino di quattordici anni di un intelligenza disarmante che ha provato ad insegnarmi come si usano le sue tavolette per scrivere… in braille.
Non mi aspettavo di sentirmi dire da un ragazzino nato e cresciuto nel compound “ da grande voglio diventare il capo della polizia, anche se non mi piace la violenza, perché credo che per farsi rispettare l’unico modo sia portare rispetto”.
Non mi aspettavo di non sentire bambini piangere. Nonostante siano per strada da quando camminano, nonostante camminino scalzi per strade improbabili, nonostante in buona parte dei casi saltino i pasti, nonostante i giocattoli li costruiscano dalla spazzatura (con una creatività e capacità ingegneristica da non sottovalutare), in tre settimane non ho sentito bambini piangere. Li ho visti sorridere, ridere, correre, giocare come qualsiasi altro bambino nel mondo, ma piangere mai.
Non mi aspettavo le mille facce dell’Africa che puoi vivere e vedere nell’arco di pochi chilometri.
Non mi aspettavo di sentirmi a casa.
Oggi a distanza di un quasi un mese dal mio ritorno dallo Zambia mi ritrovo a guardare le foto ogni giorno, pensando a quanto questa esperienza mi abbia aiutato a ridare forma alle mie priorità e al modo in cui spesso per abitudine o routine, sono abituata a percepire la realtà che vivo qui in Italia.
Descrivere questa esperienza nei dettagli è difficile e penso mi ci vorrebbero molte pagine e ancora credo non riuscirei a trasmettere quello che ho vissuto.
Sarah Bastianello – volontaria a Lusaka, Agosto 2014
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